È passato qualche giorno dalla partita di Coppa Italia che ha regalato alla Juventus la sua ventesima finale nella competizione nazionale, ma è ancora viva negli occhi dei tifosi la performance dell’ “Antonio Furioso” (non ce ne voglia Ludovico Ariosto).
Pur senza tifosi, i quali avrebbero garantito un’accoglienza non tenera all’ex bandiera juventina, il tecnico Leccese è arrivato con il fumo alle orecchie e gli occhi iniettati di sangue, consapevole di quanto un’eliminazione sarebbe stata cocente, e pronto a tutto pur di evitarla.
Nonostante ciò, ahilui, la linea Maginot costruita da Andrea Pirlo non ha dato il minimo segno di cedimento: Il Juggernaut De Ligt, il ricognitore Demiral, e il General Chiellini hanno respinto il nemico come l’acqua sugli scogli. 0-0 e Inter a casa.
Ad ogni modo, come sappiamo, il Leccese ama concentrarsi sul campionato. Ora potrà farlo a pieno.
Ma smettiamo di fare i cattivelli e di ragionare per metafore, e veniamo al sodo: l’atteggiamento tenuto durante tutta la partita, fatto di proteste veementi, colloqui serrati con il quarto uomo, falangi alzate e regolamenti di conti nel tunnel, può intaccare l’immagine e la storia Juventina di Antonio Conte?
Il dibattito si è scatenato furente sui social.
Immediata la mobilitazione della frangia più integralista del tifo: petizione su change.org per rimuovere la stella dell’ex capitano dallo Stadium, con il numero delle firme che cresceva in tempo reale (posso certificarlo, ho aperto il sito e i numeri scorrevano come nei conta banconote del film “Scarface”).
Trattasi di quei tifosi che, già nel luglio 2014, lo avevano etichettato come traditore della patria dopo la “grande fuga” al secondo giorno di ritiro.
D’altro canto, l’area più moderata del tifo juventino, dopo qualche brutto epiteto gridato contro la tv durante la diretta, il giorno dopo si è ravveduta rifiutando di cancellare il passato a tinte bianconere dell’Antonio Furioso: una carriera da giocatore costellata di trofei, una fascia portata al braccio dando sempre il 100% sul campo e, come se non bastasse, un triennio da allenatore che ha segnato la resurrezione del progetto Juve, che vacillava pericolosamente dopo le genialate del trio medusa Cobolli-Secco-Blanc.
Tre scudetti e incetta di record, una cosa non da poco.
Da che parte schierarsi, quindi?
Al netto delle Sue intemperanze che, come visto martedì sera, finiscono per degenerare in atteggiamenti e dichiarazioni a dir poco sconvenienti (chi se la ricorda “quando c’è da prendere uno schiaffo lo prende sempre l’Inter?” - io sì, ndr), penso si debba prendere l’Antonio Furioso per quello che è: un professionista che odia perdere, disposto a tutto pur di raggiungere il suo obietivo e, last but not least, con il sangue che gli ribolle nelle vene, a scapito della ragionevolezza.
Era così alla Juventus, è stato così in Nazionale, ed è così da allenatore del Biscione.
Toccherà avere pazienza e non dar troppo peso alle sue intemperanze – anche se suonano come un vero e proprio disconoscimento del passato - sperando che nuove vittorie da festeggiare (anche in faccia a lui, mi auguro) possano rendere più agevole il compito.
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