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Nicola

Il Dna Juve

Era il maggio scorso quando, per la prima volta, affrontammo il discorso del DNA Juventus.

Lo spunto lo aveva fornito l’intervista di Allegri a Sky, quando era ancora un allenatore disoccupato. Quella teoria stravolgeva il vero DNA Juve e in questo articolo (https://www.juniverse.eu/post/lettera-aperta-ad-andrea-agnelli-e-massimiliano-allegri-ovvero-meritiamo-un-calcio-migliore) esprimemmo le nostre perplessità.

La questione non solo è rimasta immutata, si è addirittura ingigantita. Ribadiamo quindi le grandi perplessità su quel modello di cui parlava Massimiliano Allegri che sembra(va) più una scusa per poter giocare male.


La Juventus sicuramente non ha la nobiltà delle Milanesi - qui i tifosi nati dopo gli anni ottanta faranno fatica a capire - perché era sì una squadra operaia, non intesa come rosa scarsa, bensì operaia di valori e di determinazione, di sudore in campo, di sudore per conquistare ogni trofeo, come la nostra prima Coppa Europea, mentre le due milanesi avevano già vinto due volte la Coppa dei Campioni e l’Intercontinentale. Ecco spiegato perché la Juventus veniva definita con minor nobiltà.


Fino a qualche anno fa, diremmo fino, a pre Calciopoli, la questione nobiltà era ancora citata ogni tanto così come descritta. Ovvero le due milanesi erano le nobili e la Juventus la meno nobile delle grandi.


Fu Marcello Lippi che descrisse alla perfezione il nostro DNA: “la Juventus è come una provinciale, una grande con l’anima e la lotta delle provinciali”, questo è l’unico DNA che Allegri deve scolpirsi nella mente ed è questo che Agnelli deve tornare ad inseguire.


Se proprio non riusciamo ad essere bellini, e a ripudiare gli allenatori “New Age”, torniamo almeno ai nostri valori, quelli di una grande provinciale che lotta su ogni pallone.


La Juve deve fare la Juve

Tornare ad essere una squadra pugnace non significa non avere qualità o non avere classe, bensì che le due cose debbano essere congiunte. Non è un caso che alcune delle Juventus più ricordate e vittoriose possedessero queste caratteristiche. Si pensi alle squadre di Trapattoni, Lippi e Conte.


Allegri, nel suo primo ciclo, riuscì a dare nobiltà in grandi quantità: il passare del tempo può offuscare il ricordo, ma fu capace di far fare lo step delle grandi squadre. Questo almeno fino alla finale di Cardiff, da cui partì anche il nostro declino agonistico, riscontrabile - ancora oggi - nel suo attuale ciclo.

Questa squadra non ha anima, non ha voglia, è un elettroencefalogramma piatto. Non riesce a dare nessuna emozione se non fortemente negative. É deprimente vedere una squadra così passiva, prima di tutto nell’animo e nella combattività, come quella vista ieri ad Haifa.

Rispetto a quando esprimemmo le nostre perplessità, questa volta sembra che qualcosa si muoverà e le parole di Andrea Agnelli dopo la partita al Sammy Ofer Stadium vanno in quella direzione, seppur non sembrano dare l’idea di cambi alla guida tecnica. Quello che deve fare subito la società è ristabilire il nostro DNA, che non è quello teorizzato da Massimiliano Allegri.


La Juventus prima che vincente è combattiva, indomita, inarrendevole come descrisse molto bene in poche parole Jorge Valdano qualche anno fa: “La Juve è come un tubetto del dentifricio: quando pensi che sia finito, spremi ed esce sempre qualcosa”.


Agnelli elimini subito questa passiva teoria per far sì che si possa tornare al nostro animo agonisticamente cattivo, e dia impulso ai singoli. Non si pretende di trasformare un gatto in una tigre, ma nemmeno che un gatto si trasformi in un criceto, poiché oggi questi sembrano essere i giocatori bianconeri. Il carattere si può certamente forgiare e su questo Allegri si è mostrato incapace.


La squadra

Si vedono ancora vistosi errori da parte dei singoli: di posizionamento, di attenzione e di personalità. Alcuni nomi li facciamo.

Alex Sandro, continua a fare sempre le stesse scelte sbagliate, lo trovi dove non deve essere e non mai è dove dovrebbe effettivamente essere

Paredes, atteso tutta l’estate, avrebbe dovuto portare il verbo alla squadra, ma sembriamo ancora essere analfabeti.

Il giocatore argentino ha delle attenuanti (la condizione?), però alcuni segnali si dovrebbero comunque intravedere.

Vlahovic, esasperato, litiga con il pallone e non riesce a stopparne una.

Questi sono solo alcuni degli esempi…


L’allenatore

Si troveranno ancora mille scuse e mille attenuanti, ma la verità sta nei fatti: questa squadra fa sempre gli stessi errori e manca di combattività perché è incapace di correggere e di trasmettere.


Non ci sono molte altre parole da aggiungere se non:

“Non merita di finire un’annata in questa maniera. Io ho cercato di fare tutto il possibile e immaginabile, ma in questo momento questa è una squadra troppo fragile caratterialmente, troppo fragile mentalmente. Allora se il problema sono io, ho deciso di dare le dimissioni”.

Ma queste, però, le pronunciò Marcello Lippi…

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