(di Pietro Sgambati)
La Oxford University Italian Society è una prestigiosa comunità internazionale di studenti innamorati della cultura italiana. Andrea Agnelli è stato invitato in tempi non sospetti durante l’anno accademico, insieme ad altre personalità, a tenere un incontro con il pubblico. Recentemente, esponenti della politica e della cultura italiana – sportiva e non – sono stati ospiti delle mura dei numerosi college di Oxford. Tra loro - oltre ad Andrea Agnelli - Carlo Verdone, Beppe Grillo e Javier Zanetti. L’incontro con il nostro presidente era aperto al pubblico, per quanto la limitatissima capienza della sala conferenze del Corpus Christi College, avesse reso necessario fornire la precedenza agli studenti della Oxford University. Essendo davvero desideroso di fare parte della piccola éliteche avrebbe potuto ascoltare dal vivo le sue parole, mi sono affrettato a procurarmi un biglietto, appena prima del sold out: saranno alla fine solo poco meno di una cinquantina I privilegiati - me compreso -che avranno assistito alla dissertazione oxfordiana di Andrea Agnelli.
Sarò sincero, la mia aspettativa era quella di assistere a una lectio magistralis sul business plan della Juventus e delle sue strategie di marketing, essendo l’evento stato presentato come di grande interesse per gli studenti della facoltà di economia. A maggior ragione, dato che Agnelli è stato introdotto come “l’uomo che ha portato la Juventus F.C. a dominare la Serie A per quasi una decade e che ha siglato uno storico contratto con CR7, cui manca ormai solo la vittoria della Champions League per cementare la sua eredità”. Ebbene mi sbagliavo completamente: l’intera discussione verterà sulla politica calcistica a livello internazionale, con qualche accenno al sistema di business dell’intero pianeta calcio e pochissimi richiami a ciò che ha fatto la Juventus dal punto di vista industriale negli ultimi anni.
L’introduzione di Andrea Agnelli all'audience
Prima dell’ingresso in sala del Presidente, i membri organizzatori della OUIS hanno tenuto a specificare che l’incontro si sarebbe tenuto integralmente in lingua inglese. Dopodiché, in seguito a un’attesa di qualche minuto, è stato proiettato un promo con la raccomandazione proprio di Agnelli affinché la platea lo guardasse. Una breve introduzione conclusasi con la voce narrante che recitava “Juventus is not just football”. Parole importanti e da tenere a mente: sarà un elemento chiave per capire molti interrogativi e di alcune contraddizioni che ci porremo in seguito a questo incontro e alla fine dell’articolo.
A questo punto, il mediatore della serata ha introdotto il Presidente che si è presentato puntualizzando di non gradire che si girassero video, in quanto questi avrebbero influito sulla sua spontaneità. Dovendo lui parlare a un pubblico di studenti e appassionati, in un evento in cui i giornalisti non erano ammessi, indica scherzosamente due di loro, con la raccomandazione ironica di non scrivere cose inappropriate. Da questo punto in poi, il monologo di Agnelli. In un inglese fluidissimo inglese pieno di termini tecnici, il Presidente ci ha avviluppati in un treno di concetti vitali per quello che sarà il calcio del domani, sfoggiando un linguaggio di chi fa questo lavoro a livelli altissimi.
“Noi gestiamo un'industria”
La lectio di Andrea Agnelli è durata circa 30 minuti: come detto precedentemente, le aspettative di una lezione di business incentrata su come la Juve e il suo marchio fossero stati gestiti da questo gruppo dirigenziale, sono state fugate dopo circa due minuti. La mia netta sensazione è stata quella di un vero e proprio programma elettorale, quasi come se il nostro chairman si stesse preparando a un ruolo rappresentativo di livello top presso l’ECA. Considerato che l’impianto della prima parte del discorso fosse incentrato sul fatto che il rapporto tra la Fifa, le federazioni e i club è completamente univoco: <<Se un club ha una rimostranza da fare alla FIFA, anche se questi è la Juventus, il Barcellona o il Real Madrid, o questa viene presentata attraverso la mediazione della federazione di appartenenza o il club non viene neanche considerato>>. Questo è un incipit con cui Agnelli ha immediatamente messo in chiaro che i club devono sottostare giocoforza a un sistema organizzativo rigido e anche molto antiquato, in quanto – qui la sua cadenza diventa perentoria, quasi sincopata – <<la FIFA e le federazioni regolano un gioco. Noi club amministriamo un’industria che muove una quantità incredibile di denaro>>. Agnelli si era in realtà subito presentato raccontando un aneddoto su quanto seriamente abbia preso la gestione della società di calcio di famiglia, dicendo che nel 2006 - non cita il nome Calciopoli espressamente, ma parla di “eventi che tutti conosciamo” - l’intera famiglia si riunì per parlare del destino della Juventus, concordando sul fatto che fosse giunta l’ora di affidarne la conduzione a un Agnelli. La scelta ricadde su di lui e la prima impressione che l’attuale presidente della società ricavò di quest’ultima non fu esattamente positiva. Il primo giorno in cui Andrea si recò in ufficio era di sabato e nell’edificio operativo non c’era nessuno: <<Figuratevi, negli edifici di un’azienda che si propone di fornire come prodotto l’intrattenimento, di sabato non c’era nessuno>>. Dopo un mese con lui alla guida nel weekend c’erano trenta dipendenti al lavoro.
“We need to spread the passion”
Da questo particolare, Agnelli si allarga per spiegare come la sua voglia di cambiare il calcio a livello globale, dovesse passare per un discorso di coerenza prima dall’ambito nazionale: le battaglie sui calendari e sulla possibilità di giocare partite di cartello all’estero; argomenti rispetto ai quali le federazioni devono rendere conto a UEFA e FIFA che regolano gli impegni dell’anno calcistico. Su questo il Presidente, pur non dicendolo espressamente, ha fatto capire che nel 2024, quando scadrà l’attuale accordo con questi organismi, i club potranno fare da soli, ridisegnare i propri impegni come meglio credono: <<Noi non possiamo competere con Netflix o Amazon Prime. Se in America vogliono vedere le partite delle nostre squadre, loro non vogliono farlo tra due mesi, vogliono farlo in quel momento, quindi il calcio deve essere un prodotto live>>. Agnelli cita l’esempio del clasico, dicendo che in futuro le partite di cartello dei campionati potranno giocarsi anche durante l’anno calcistico in paesi dove il football è molto richiesto. In seguito, questo argomento tornerà nel discorso di Agnelli, purtroppo delineando un quadro che non piacerà molto ai “tifosi”.
Il bisogno di “espandere la passione per il football” a nuovi mercati viene fuori da un punto affrontato da Agnelli nel silenzio della platea quando appare sul vidwall una slide che mostra l’Ajax del ’71-’72, la Steaua Bucarest e la Stella Rossa di Belgrado della fine degli anni ’80 inizio ‘90. Squadre che vinsero la Coppa dei Campioni più di 30 anni fa, quando per competere per la vittoria, - dice il Presidente - bastava essere la squadra di una grande città Europea. Con l’avvento dei broadcaster televisivi il dominio è passato alle big dei primi cinque campionati. Quindi negli anni 2000, a trionfare c’erano ancora molte squadre che si avvicendavano nella vittoria della Champions League, fino ad arrivare ai giorni nostri con il digital marketing, dove a parte otto squadre nessuna può puntare concretamente alla vittoria. Il succo del discorso è che secondo Andrea Agnelli, il futuro del calcio deve ruotare attorno ai cinque paesi più importanti a livello calcistico: Inghilterra, Spagna, Italia, Germania, Francia. Questi devono esportare il proprio prodotto dove c’è l’amore per il football, mentre le altre nazioni devono costituire una sorta di “vano del sidecar”, perché se ogni testa conta come un voto - dice il presidente - non usciremo mai da un pantano che tiene ancorato il calcio a schemi antiquati. Insomma, il fantasma della superlega è dietro l’angolo, per quanto lui si corregga dicendo che non c’è l’intenzione di escludere quei paesi in quanto anche lì ci sono dei fans di cui tenere conto: fate attenzione alla differenza tra fans e tifosi perché sarà importantissima.
Fino ad ora quindi sono stati paventati big match di campionato in paesi dove il calcio è ancora in via di emersione - quindi non solo la Supercoppa Italiana - e un progetto di revisione delle coppe europee che avvicini sempre di più la Champions a una superlega.
“Finalmente la Juve”
Andrea Agnelli fa dunque un primo riferimento alla Juventus. L’aspetto sportivo rimarrà sempre il traino di tutto perché “alla Juve facciamo football” ma il brand, attraverso tutte le iniziative svolte, si sta generalizzando, sta abbracciando diversi tipi di mercati, cosa che ha determinato scelte che avevano apparentemente motivi diversi da quelli sbandierati. Dalle parole in merito alla Juve, traspare un discorso in cui il tifoso italiano, quello che va allo stadio, che compra i giornali e che segue le partite su DAZN – questa è l’impressione ricavata da ciò che ho ascoltato - sia passato in secondo piano negli obiettivi attuali. Rimarca che per la Juventus sia molto più importante andare a coinvolgere “degli appassionati, dei fans”, insomma degli amanti occasionali della Juventus che seguono il marchio più che la squadra, perché questo è cool o perché è di tendenza. L’allusione al cambiamento dello stemma per il logo con la J e delle storiche strisce bianconere a favore di un “Chievo in salsa Juve” è palese. Insomma, siamo sempre meno “la Juve” e sempre più Juventus. Del resto, se provate a seguire l’account instagram chiamato @liveahead, per rendervi conto di cosa viene associato oggi al nome della nostra squadra del cuore: abbigliamento casual non legato al club, feste in posti esotici dove la Juventus viene accostata a uno stile di vita, ecc...
Mi ha lasciato di stucco anche l’incipit sulla Juventus Women, di cui il presidente parla dopo aver illustrato la situazione allarmante nei paesi scandinavi e dell’est europeo, dove tra i ragazzini non ci sono più appassionati, o comunque molti meno di venti anni fa. <<We are losing the kids>>, dice Andrea, illustrando quindi come gli investimenti che si stanno facendo per la squadra femminile siano in realtà una mossa di mercato atta a rimpiazzare i bambini con le ragazze/donne. Tuttavia, gli investimenti che si faranno in questo settore – lascia capire Andrea – saranno moderati, in quanto anche se la JWomen dovesse vincere la Champions League il ritorno economico non sarebbe nemmeno lontanamente equiparabile a quello della squadra maschile in una stagione di medio livello.
Arriva il momento delle domande. Qui, purtroppo, devo confessare di essermi intimidito inizialmente. Quando avrei avuto una chance di chiedergli se fosse vero che per attirare allo stadio la generazione di FIFA si tentasse davvero l’acquisto di un fuoriclasse di livello mondiale giovane, tipo un Mbappé - come avevo letto su qualche titolo - invece piovono domande piuttosto scarse a livello di spessore. C’è stato chi gli ha chiesto dove si vedesse tra dieci anni. Chi un quesito in un inglese poco comprensibile da parte di un partecipante asiatico. Chi un'altra domanda sul come fosse difficile separare l’Agnelli tifoso dal presidente, cui il nostro Andrea ha risposto citando la lite tra Bonucci e Allegri, dicendo che si fosse sentito molto in difficoltà. Richieste che passavano in secondo piano, fino a una domanda abbastanza arguta da parte di un ragazzo del Medio Oriente che gli ha fatto notare la contraddizione tra lo “spreading the passion” e il tenere al guinzaglio i paesi minori a livello calcistico. Sono rimasto comunque molto affascinato dai temi trattati e da come questo sia stato fatto. L’impressione è che il nostro presidente sappia bene dove voglia portare la Juve. Il problema è che, il quadro generale vede la dirigenza più volta al fatturato che a vincere sul campo, come se questo fosse solo un pretesto per crescere come azienda. Non stupisce quindi che perdere in finale o in semifinale di Champions, per i nostri amministratori, resti comunque una vittoria, mentre per noi tifosi ciò rappresenti una catastrofe. Ho paura che in futuro ci scontreremo spesso con queste due spinte contrapposte.
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