Mi sono riservato di scrivere questo paragrafo soltanto dopo aver seguito la conferenza stampa di Allegri. In questa intervista pre-partita abbiamo visto tutti gli aspetti di Allegri, e abbiamo capito anche qualcosa del dietro le quinte della società Juventus, nella persona dei dirigenti. Una cosa colpisce del preambolo del presidente Agnelli, ma anche di quello che ha detto Allegri stesso. Tra i due sembra essersi veramente sviluppata un’amicizia personale, al di là di un rapporto affiatato tra colleghi. Cinque anni fa, quando Max arrivava alla Juventus, Andrea Agnelli aveva trentotto anni, veniva da un rapporto turbolento con Antonio Conte - non proprio il più semplice dei personaggi con cui aveva a che fare - e si ritrovava tra le mani una potenziale macchina da guerra. Ma solo potenziale. Mi piace dunque pensare che, nella scelta di un nuovo tecnico, Andrea Agnelli abbia chiesto a Marotta e Paratici di portargli qualcuno di provato, ma con un carattere più semplice. Insomma, un alleato. Allegri, vincitore di uno scudetto al Milan e rivale principale del primo anno della nuova Juve, era in questo senso “provato”. Da lì in poi, è storia scritta, ma sembra che il presidente Agnelli abbia finalmente trovato la pace interna all’azienda - cosa che ha sottolineato: piaccia o non piaccia, la Juve è un’azienda - necessaria a far crescere il club, ma anche a far crescere sé stesso. È in questo che gli Agnelli hanno sempre eccelso: portare a casa campioni, quando nessuno li invocava a gran voce. Vedi Platini, vedi Baggio, vedi Del Piero. Vedi Cristiano Ronaldo. Fatta questa considerazione, il centro della scena è stato lasciato a Max. Di lui abbiamo visto tutto in questa conferenza. La parte guascona, con le battute e i sorrisi e la parte polemica. Inutile qui ripetere cosa abbia detto, e contro chi o riguardo a quale finale persa in quale città del Galles. Quello che viene fuori da questo è un professionista tridimensionale, con un carattere complesso e interessi variegati, che trae molta della sua forza dall’istinto, e con una grande fiducia in sé stesso. Ed è proprio questo ultimo aspetto che, alla fine, lo ha portato al divorzio. Non è dato saperlo con certezza, ma resta l’impressione che Allegri volesse fare della Juve la “sua” squadra, plasmata ai suoi ideali non solo di gioco, ma personali. La sua visione del calcio e del successo è molto fatalista, e sembra che dai suoi discorsi che la vittoria vada cercata nelle persone, più che nei piani. Ma, pur essendo grandi amici, Andrea Agnelli non poteva permettere - mi piace pensare - che la Juve potesse diventare la squadra di Allegri. Perché la Juve è solo la Juve, in cui ognuno è importante ma nessuno indispensabile, che ha cambiato mille pelli nel corso dei decenni per rimanere vincente, scartando il prima possibile ciò che non funzionava più. Con cortesia Sabauda, ovviamente. Come quella usata dal presidente per accompagnare alla porta, da ospite d’onore, il nostro caro, maledettissimo, ex-mister.

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