Victor Osimehn, Andrea Pinamonti, Nicolò Rovella, questi sono solo alcuni dei nomi di calciatori i cui trasferimenti nelle ultime ore sono finiti nell’occhio del ciclone della Covisop, l’organismo preposto dalla Federcalcio alla vigilanza sulle questioni economiche relative alla salute finanziaria delle squadre di Serie A.
Sessantacinque sarebbero le operazioni – e i fascicoli aperti – sotto la lente di ingrandimento, delle quali circa una quarantina legate alla Juventus.
Numeri da capogiro per i quali urge una puntualizzazione: la Juventus essendo quotata in borsa è tenuta per trasparenza verso i suoi azionisti a rendere pubbliche in tempi brevissimi tutte le operazioni economico-finanziarie, ed è quindi più semplice per per chi indaga entrare in possesso della documentazione utile all’apertura di un fascicolo.
La notizia mette il coltello nella piaga di una stagione tutt’altro che ricca di soddisfazioni e non può fare nient’altro che allarmare una tifoseria ancora ferita da Calciopoli e dalla retrocessione di quindici anni fa.
Eppure - ci rendiamo conto sia un’opinione difficile da digerire – si tratta di indagini sacrosante le quali speriamo portino a qualcosa di buono, perché questo calcio non si regge più in piedi da solo ed è ora che ce ne si renda conta.
UN CALCIO DOPATO DI SOLDI
Ci sono due tipi di gestioni per una società calcistica: quella nella quale essa viene utilizzata dalla proprietà come asset pubblicitario per i suoi prodotti, dando un’importanza secondaria alla sostenibilità economica, o quella dove grazie alla programmazione soprattutto a livello giovanile essa riesce a rimanere economicamente in piedi e a produrre utili grazie al cosiddetto player trading.
A questi due sistemi, che storicamente si sono affiancati nel mondo del calcio con l’avvento delle proprietà mediorientali, si è aggiunto prepotentemente l’utilizzo del calcio come strumento di soft power politico tra Stati.
Non che questo non succedesse in passato – due mondiali su quattro l’Italia li ha vinti con la maglia nera imposta da Benito Mussolini – ma l’approdo degli sceicchi e delle loro risorse finanziarie pressoché illimitate ha avuto un impatto rivoluzionario su tutto il sistema calcio, il quale già in principio non era particolarmente sostenibile.
Il pompaggio continuo di soldi in società storicamente secondarie del calcio europeo ha
portato a un aumento considerevole sia del valore dei cartellini che delle richieste economiche dei calciatori: “vuoi che vengo nella tua squadra senza alcun blasone? Nessun problema, pagami il doppio degli altri”.
L’entrata nello scenario di attori con capacità di spesa poderosa ha fatto molto bene alle squadre storicamente dedite al player trading, ma ha tagliato le gambe alle società di vertice che si sono trovate di fronte a una scelta: cambiare approccio ridimensionandosi e vendendo calciatori per sostenere le spese oppure provare a combattere sullo stesso terreno di gioco delle proprietà petrolifere trovando il modo di tenere in piedi i bilanci.
Come? Con le plusvalenze, ovviamente.
DALLE BUONE PLUSVALENZE ALLE CATTIVE PLUSVALENZE
I primi anni della gestione Agnelli e Marotta sono stati segnati da alcuni attivi di bilancio grazie a significative plusvalenze tra le quali spicca la vendita di Paul Pogba, all’epoca operazione di mercato più onerosa della storia.
I problemi di bilancio cominciano ad affacciarsi alla porta della Juventus con l’operazione Ronaldo nel 2018, non tanto per il cartellino – intorno ai cento milioni – quanto piuttosto per lo stipendio monstre di trentuno milioni di euro annui, stipendio che, essendo spesa viva dalla società, non poteva essere in nessun modo diluito in operazioni finanziarie. Alle salatissime buste paga del portoghese si sono aggiunti alcuni stipendi sproporzionati rispetto ai valori tecnici e il “cigno nero” del Covid.
Il tutto ha creato un mix letale per il bilancio bianconero.
Ed è proprio in questo periodo di flessione che si concentrano molte delle operazioni oggetto di questa indagine.
OGGETTIVO E SOGGETTIVO
Difficile valutare oggettivamente il valore di un calciatore, sono troppe le variabili per decidere se valga o meno una certa cifra, senza contare che qualsiasi spesa in un futuro prossimo potrebbe essere vanificata da un infortunio, un momento negativo di forma o ipervalorizzata da un improvviso sbocciare del talento.
Sicuramente non è soggettivo ma oggettivo che il sistema attuale è incentivante verso l’utilizzo delle plusvalenze cosiddette fittizie per aggiustare i bilanci.
COME FUNZIONA LA QUESTIONE PLUSVALENZE
Facciamo un esempio. Abbiamo due squadre che vogliono scambiarsi due giocatori , acquistati qualche anno prima. La prima società mette sul piatto un calciatore delle giovanili, la seconda un calciatore acquistato qualche anno prima e con un residuo a bilancio al netto degli ammortamenti passati di cinque milioni di euro.
Entrambe le squadre valutano i due calciatori venticinque milioni di euro. La prima squadra, vendendo un calciatore che non aveva residuo a bilancio, mette a esercizio una plusvalenza di venticinque milioni, la seconda toglie il costo residuo dal valore della plusvalenza e ne mette a bilancio solo venti.
La problematica nasce dal fatto che mentre la plusvalenza viene conteggiata tutta nell’anno in cui viene portata a termine, il valore dell’acquisto si spalma su tutti gli anni di contratto del calciatore, quindi se la prima squadra contrattualizza il giocatore per cinque anni spalma il valore su tutti quegli anni, avendo un costo nell’esercizio dell’anno di soli cinque milioni.
Il risultato di tutte queste operazioni, tuttavia, è solo un cane che si morde la coda. Un anno viene messa a bilancio una cifra che tornerà come costo negli anni successivi, non un grosso problema se questa cosa avviene in maniera sporadica, ma un problema enorme se si sono fatte molte di queste operazioni in quanto ci si è riempiti il bilancio di costi difficili da sostenere i quali – per forza di cose – dovranno essere sostenuti da altre operazioni di questo genere innescando un circolo vizioso dal quale sarà sempre più difficile uscire.
INSOSTENIBILE
Come si sarà ormai capito la questione diventerà in breve tempo insostenibile e questa è la condizione in cui non versa solo la Juventus ma praticamente tutta la vecchia elité del calcio che non ha accettato la nuova egemonia delle squadre petrolifere, ma anche le squadre non di cartello meno capaci di altre di creare valore con il talento giovanile, incastrate in un aumento dei costi di cartellini e ingaggi dal quale è difficile districarsi senza un management di prim’ordine.
IN CONCLUSIONE
Ben venga una seria indagine sulla questione, ma che sia su tutti e non solo la Juventus.
A oggi sono già diciotto le squadre indagate perché – è bene ricordarlo – nessuno fa niente per niente e se da una parte c’era la Juventus che comprava, dall’altra parte c’era il Genoa di turno che vendeva e realizzava una corposa plusvalenza.
Il calcio è chiaramente malato e la SuperLega tanto vituperata è stata un grido d’allarme prima che un attentato al calcio popolare.
Ci si augura che di fronte al fatto che quasi nessuno riesce a stare in piedi con le proprie gambe si possano porre le basi per un cambio di rotta che deve partire sì dal basso e dai club, ma deve essere anche accompagnato dalle Federazioni nazionali e internazionali, da anni intente a lisciare il pelo e a fare concessioni ai nuovi ricchi e che oggi sono pronte a dirsi sconcertate per la fantasia finanziaria delle altre con la candida innocenza di chi è consapevole di esserne in parte colpevole.
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