Il mondo è rimasto recentemente sconvolto dall'invasione turca del nord della Siria, con il dichiarato obiettivo del "creare un corridoio di sicurezza" e con l'obiettivo implicito di eliminare i combattenti curdi, che per il regime di Ankara e per Erdoğan sono ancora classificati come un'organizzazione terroristica, nonostante siano i principali fautori della sconfitta dell'ISIS in Siria. La ritirata delle forze armate statunitensi, dovuta a motivi economici e pressioni da parte dell'elettorato repubblicano, ha permesso all'esercito turco di trovare la strada spianata per attaccare militarmente la popolazione curda.
Ha quindi suscitato scalpore e indignazione la pubblica manifestazione di sostegno della nazionale turca all'operato del regime, e in Italia si è parlato soprattutto dei messaggi inequivocabili lanciati dai calciatori di Serie A, Ünder, Çalhanoğlu e, purtroppo, anche Merih Demiral.
Il giovane difensore turco ha partecipato con i compagni al saluto militare di squadra, da sempre un aperto messaggio di vicinanza ad Erdoğan, e come i due connazionali della Roma e del Milan ha pubblicato diverse Instagram stories inneggianti all' "Operation Peace Spring" -letteralmente "Operazione primavera di pace"- iniziata dal governo di Ankara, dando il via ad una serie di reazioni sdegnate da parte dei tifosi italiani, che hanno addirittura lanciato l'hashtag #DemiralOut.
Abbiamo cercato di analizzare la questione a mente fredda, cercando di analizzare in maniera razionale tutti gli elementi, anche quelli che potrebbero essere meno ovvi per noi, che viviamo in una nazione molto diversa dallo scenario in questione.
Il primo elemento da mettere in risalto è l'estrema gravità di quanto fatto dalla nazionale turca. Le opinioni politiche vanno rispettate, ma il pubblico appoggio ad un genocidio ha tutt'altra rilevanza, e pertanto le società calcistiche sono pienamente autorizzate a prendere provvedimenti, in quanto detentrici dei diritti di immagine dei calciatori, che con la loro azione vanno a danneggiare direttamente proprio l'immagine del club di appartenenza. Nelle ultime ore si è parlato tanto del St.Pauli, club tedesco che ieri ha licenziato in tronco il centrocampista Cenk Şahin, colpevole di aver pubblicato un post a sostegno dell'azione governativa.
Non va però sottolineata l'importante pressione -per usare un eufemismo- che il regime di Erdoğan può esercitare su tutti i calciatori turchi. Spesso si considera il silenzio come una via di mezzo accettabile fra il pubblico sostegno e l'opposizione politica; si tratta però di un ragionamento terribilmente semplicistico, e che non tiene conto della natura oppressiva del governo in questione, che non rende la neutralità un'opzione possibile.
Fa scuola in questo senso il caso di Enes Kanter: il centro turco, in forza ai Boston Celtics dell'NBA, ha iniziato da qualche anno una serie di campagne di attacco mediatico feroce nei confronti del regime di Erdoğan, da lui pubblicamente definito un dittatore.
Della questione Kanter possiamo notare due aspetti in particolare.
Il primo è come i genitori del cestista turco, nonostante essi abbiano pubblicamente disconosciuto il figlio -probabilmente dietro costrizione- dicendo di vergognarsi di lui, siano stati ugualmente condannati al ritiro del passaporto -rimanendo così impossibilitati a lasciare la Turchia- e, nel caso del padre, a 10 anni di carcere. Questo ci evidenzia chiaramente come Erdoğan non conceda a nessuno il beneficio del dubbio quando si tratta di politica: non esistono le vie di mezzo.
Il secondo aspetto è, se possibile, ancora più grave: nonostante Kanter viva ormai da decenni negli Stati Uniti, questo non basta minimamente a metterlo al sicuro dal pericolo di ritorsioni. Appena prima di un tour a Londra con la sua vecchia squadra, i New York Knicks, Enes ha dovuto rinunciare alla partenza a causa di probabili tentativi di ucciderlo da parte di spie turche nella capitale inglese. Il cestista è inoltre dovuto scappare precipitosamente da una tournée indonesiana in seguito ai tentativi del governo locale di arrestarlo ed astradarlo. Da allora Kanter è ufficialmente apolide. Ma gli ultimi due episodi che lo riguardano ci evidenziano come non sia al sicuro nemmeno negli USA: quest'estate gli è prima stato annullato un camp gratuito di basket su pressioni -anche intimidatorie- del consolato turco, e pochi giorni fa lui e un compagno di squadra sono stati aggrediti da individui che lo hanno definito "un traditore".
Questo dovrebbe far capire come i calciatori turchi abbiano motivo di temere le rappresaglie di Ankara pur vivendo in altre nazioni. Questo giustifica forse quello che hanno fatto? Probabilmente no, si tratta comunque di appoggio ad un governo fascista, ma, come sappiamo bene in Italia, molti sostenitori dei regimi lo sono solo per paura, e forse siamo troppo abituati alla democrazia per ricordare cosa sia veramente la paura.
A noi juventini potrà sembrare strano, ma non tutto è sempre o bianco o nero.
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